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Novecento e Il Piccolo Principe... I falsi eroi che ho cercato di capire

Aggiornamento: 20 gen 2021

Mentre ero all’università, ho avuto una piccola sfida da superare: per il mio esame di letteratura per lo spettacolo dovevo analizzare un film tratto da un libro. Si trattava di comprendere (o meglio, dimostrare di aver compreso) i meccanismi della trasposizione da un linguaggio (letterario) a un altro (cinematografico).


No, non era difficile.


Ovviamente, dovendo fare tutto nel minor tempo possibile e con il massimo risultato, scelsi il film/libro più conveniente.


Il più conveniente, in termini di tempi, non il mio preferito.


Scelsi il film “La leggenda del pianista sull’oceano” di Tornatore, tratto dal monologo teatrale di Baricco “Novecento”. Lo scelsi perché parlava di musica il che, in quanto musicista, mi avrebbe dato un certo vantaggio nell’affermare cose che la docente di letteratura non avrebbe mai potuto comprendere (e dare quindi l’impressione di essere molto brava). Lo scelsi perché conoscevo il testo teatrale molto bene ma, soprattutto, lo scelsi perché il libro era corto.


Non sapevo che avrei trovato non poche difficoltà.


Non amo affatto il film, ma apprezzo il testo di Baricco.


Mi sono dovuta sforzare di parlare bene di qualcosa che non mi piaceva affatto. A dirla tutta, non mi piace il personaggio di Novecento. È come il Piccolo Principe. Io detesto quel libro, ma soprattutto, il personaggio. Sia Novecento sia il Piccolo Principe sono personaggi ipersensibili, a mio parere, quasi psicopatici, problematici, chiusi nel loro mondo di fantasia, non aperti alle vere esperienze della vita. Per me un personaggio deve dimostrare forza e vigore, affrontare sfide, trasmettermi coraggio.


Ma Novecento… e il Piccolo Principe pure… quelli si suicidano!


Nel testo teatrale di Baricco, la cosa non mi disturba, perché, in generale, Novecento non viene affatto proposto come se fosse un eroe. Come spesso accade a teatro, viene mostrato solo l’uomo, nella sua vulnerabilità e con tutte le sue debolezze.


Ma nel film, Novecento diventa un mito…! Per me non lo è affatto.


Stessa cosa con il Piccolo Principe… quel povero ragazzino psicopatico che fugge dalla realtà e decide di tornare sul suo piccolo pianeta a fare compagnia una rosa stronza che neanche gli è grata per le cure che il padroncino gli riserva… ma perché tutti lo mitizzano?


Così, in questo lavoro, ho dovuto fare uno sforzo davvero enorme per cercare di capire questa cosa. E sono giunta a una conclusione…


Armando Fumagalli afferma: “Il nucleo principale del racconto sono i problemi dei personaggi: chi sono, che cosa vogliono, perché lo vogliono, che cosa li ferma, quali sono le conseguenze di queste scelte.”[1] E aggiunge: “Il finale della storia è un elemento assolutamente essenziale, perché è ciò verso cui tutto converge, è la soluzione del climax, è il punto a cui tende tutto quello che era successo precedentemente. La reazione dei personaggi, le loro scelte finali, sono assolutamente centrali per dare il senso di quello che fanno, di quello che hanno imparato.”[1] Fondamentalmente in ogni storia c’è un protagonista che deve affrontare una sfida e ha degli ostacoli da superare. L’epilogo finale ci dice se la sfida è stata superata, oppure no. È nel finale che troviamo la “lezione” da imparare, il messaggio di fondo dell’intera narrazione.


E allora, quale sfida superano Novecento e il Piccolo Principe?


Io credo che la risposta sia nel senso di appartenenza.


Non a caso per me, personalmente, si tratta di un sentimento difficile, vago, quasi.


A Novecento avrei urlato “scendi da quella stramaledetta nave!!!”.

Invece lui rimane, perché quello è il suo posto.


Francamente, è una cosa che non riesco a inquadrare più di tanto.


Ma posso comprendere molto bene quale importanza abbia il senso di appartenenza nella vita di una persona. In realtà, sono anche in qualche modo addolorata dal sentirne così poco la presenza in me. È un po’ come la fede: sappiamo che non è una roba necessariamente sensata, ma è sicuro che chi ce l’ha, sta meglio. Perciò tutti ne vogliamo un po’. Perciò tutti ammirano Novecento per la sua scelta, o il Piccolo Principe, per la sua.


Ma l’appartenenza, come la fede, portata alle estreme conseguenze, non è dannosa?








[1] I vestiti nuovi del narratore, Armando Fumagalli, EDUCatt, Milano, 2015, p.22 e p.138.

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